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Codice Autore: 5c9f3933e7df4
Sezione: Adulti
Titolo: Il Progetto Eco





Sei pronta?

Apri gli occhi.

Piano, non ti agitare.

Guardami. Riesci a capirmi? Ecco, osserva bene le mie labbra.

Fai cenno con la testa.

Sì, così,

Ti senti strana? E’ normale, ti abituerai.

Non alzarti, non ancora.

Dai al tuo corpo il tempo di abituarsi.

Sembra poca cosa, invece è difficile. Non sentire nulla.Vedere intorno a sé cose, persone, oggetti. E il silenzio più assoluto.

Respira. Inspira, espira.Non distingui neppure il tuo fiato, solo il cuore.

Ed è un rumore forte.

Adesso concentrati. Guardami attentamente, negli occhi.

C’è come un ronzio lieve. Lo percepisci?

Benissimo.

Vedi questo pulsante? Regola il volume.

No, non fare nulla ora.Aspetta.

Prima devi decidere cosa. Da cosa vuoi cominciare.

Lo selezioni così, schiacciando il tasto rosso e poi uno a scelta tra quelli giallo, blu, nero. Il bianco neutralizza, ricordalo. Ti consiglierei per prima cosa il giallo, dovrebbe essere più lieve. Tieni il volume basso, non si sa come potrebbe andare...

E’ la prima volta, lo sai, che lo testiamo su un essere umano. Beh, insomma. Capisci. Cautela.

Sì, è un po’ difficile ricordarsi le combinazioni. Ma i colori dovrebbero aiutarti, più dei numeri.

Dunque? Pronta?

Iniziamo, allora.

La donna distoglie lo sguardo dall’uomo in camice bianco e si concentra sul medaglione che porta appeso al collo. Design impeccabile. Tasti colorati. Li sfiora e si illuminano delicatamente. Dunque, il giallo.

Passa qualche istante, ma non percepisce nulla. Alza un po’ il volume, di nuovo non accade niente.

Perplessa, osserva il tecnico, a sua volta dubbioso. Un malfunzionamento?

Non so, provo ad alzarmi. Questa stanza è troppo asettica.

Esce, attraversa corridoi ed altre stanze vuote. Indugia un momento davanti alla spessa porta a vetri. Non sente nulla. A parte il cuore, che galoppa. Si decide. Esce per strada.

Il frastuono la colpisce come un pugno sui timpani: afferra la pulsantiera, pasticcia un po’, finalmente ricorda come regolare il volume... Si gira indietro: l’uomo in camice, al di là della porta, la osserva ansioso. Si sorridono, ok, fa’ segno. Tranquillo.

Si guarda intorno: è un mondo completamente sconosciuto quello che le si presenta. Come in una immersione subacquea, tutto pare fluttuare in un silenzio quasi assoluto. Deve muoversi con attenzione: nulla potrebbe avvertirla di un’auto che sopraggiungesse alle sue spalle o di un ciclista che suoni il campanello per farsi largo tra la folla. Clacson, scampanellii, stropiccio di passi: tutto escluso dal suo orizzonte uditivo.

Una sola cosa può raggiungerla, grazie al pulsante giallo. Ed è quello, che cerca.

In un primo momento, non capisce la fonte del suono, finché non intravvede, al di là della vetrina di un negozio, una bambina sui sette anni. Sta sfogliando un libro, il volto estasiato. La donna la osserva con cura, entra nella libreria, le si pone accanto. Ed ecco: la sente.

Ha la morbidezza dell’erba dopo una pioggerellina primaverile. Vi sono farfalle, arcobaleni, planate d’uccello. Squillano campanelli d’argento, svolazzano draghi e principesse, tra galoppate e vento in faccia. E’ lieve il loro suono e basta alzare un po’ il volume per ascoltare una fragorosa sinfonia di colori. Sorride, la donna, mentre scruta la bambina immersa tra le pagine illustrate.

Sta accadendo, dunque.

Il tecnico, rimasto fuori dalla libreria, discretamente osserva e prende nota. I loro sguardi si incrociano. Pulsante blu?

Sì, dai, prova.

Pulsante blu.

La donna posa nuovamente la sua attenzione sulla piccola lettrice, ma s’accorge, con sollievo, che le è divenuta impenetrabile. Al trillo precedente si è sostituita una lunga nota un po’ dolente. Si guarda intorno, per coglierne l’origine. Percepisce il ticchettio della pioggia nelle giornate autunnali, inframmezzato dal rombo cupo di un tuono in lontananza, in cui si muovono dei passi stanchi. Chi un tempo saltava le pozzanghere durante gli acquazzoni, si ritrova ora con delle scarpe troppo fradice per poter anche solo sperare di accennare un piccolo saltello.

La donna si muove piano piano tra gli scaffali, incerta. Poi la individua. Certo, non può che essere lei, la madre della bambina. Occhi verdi, capelli ricci e corvini. Tra le gocce del temporale si dipana una tristezza profonda, mista a malinconia: la mamma vorrebbe anche lei immergersi nel mondo fatato degli ippogrifi, ma il suo cavaliere le ha spezzato le ali, andandosene all’improvviso. Così lei è precipitata. Si sono frantumate le gambe, nella caduta. Ma sta in piedi, in qualche modo. Chi ha saltato molte pozzanghere e molto a lungo, non dimentica come si fa a camminare. Soprattutto se deve custodire gli arcobaleni le fate i draghi e le farfalle di una fanciulla reale.

Nonostante abbia tenuto il volume al minimo, la donna si sente frastornata. Ce la farà mai a schiacciare il nero?

Cerca lo sguardo del tecnico. Lui controlla sul tablet le reazioni psicofisiche rilevate dalla sofisticata apparecchiatura in sperimentazione. Valori sopra la norma, tuttavia accettabili. Con un cenno si capiscono: si va avanti. Fino in fondo. Nero.

Un rullo di tamburi dalla potenza primordiale scoppia nella testa della donna: senza ritmo, senza pause, fortissimo, una sincope di contrasti nauseabondo… ma stavolta non c’è una sola origine, la donna si gira su sé stessa più volte, regola forsennatamente il volume, non riesce a districarsi nella confusione improvvisa, suda freddo… osserva i pochi presenti nel negozio, ciascuno impassibilmente preso dalla propria attività.

Allora la donna si siede, chiude gli occhi e si concentra, finché nel mezzo del marasma non comincia a coglierle: sono parole. O meglio, scoppi. Boati. Lame acuminate. Quella schifosa sempre qui tutti i pomeriggi tocca tocca non compra niente ma la sua bambina mica è diversa poi chi li vuole spiegazzati signora mi scusi ma sa dovrebbe pagare prima non è una biblioteca e lei la prego abbia pazienza qui si calma è l’unico posto sì signora capisco ma sa dai ma’ sei patetica ma proprio tutti devono compatirci che ci facciamo ancora qui è per la piccola è per la piccola e intanto tu non riesci a fare altro che e quel vecchio ti fa gli occhi dolci ma ti vorrebbe accoltellare e me non mi guardi io sono grande io devo capire io …ma che fa quella dorme ancora ma la gente i cazzi propri se li devi tenere per sé e quel brufoloso di figlio a casa ragazza mia qui si campa con poco perfino quella poppante di sorella ha letto più libri di lui ci scommetto

Stop.

Ok. Funziona. Funziona ma adesso calma. Off.

Bianco.

Sperimentazione completata. Si rientra.

 

Il tecnico sorride, soddisfatto.

Domani riproviamo?

Sì. Domani. Ora ridammi i miei, di apparecchi.

La donna si infila gli auricolari soliti, quelli che sopperiscono alla sua sordità e riprende il contatto standard con quanto del mondo reale le è accessibile. Clacson, strilli, traffico, cigolio di porte, chiacchiericci. Frastuono. Poi, a casa, li toglie. Lì non necessita di nulla, se non di sé stessa e può ascoltare solo ciò che riesce a tollerare. Ripensa ai draghi, alle pozzanghere, ai tuoni. Rivede le facce, lo sguardo sbarrato rivolto agli scaffali, alla cassa, alle unghie, ai libri. Percepisce il loro buco nero.

Nessuno parlava, in quel locale. Eppure. Come nascoste correnti oceaniche, le urla represse scaldano o gelano chi ci si avvicini abbastanza da percepirle. Cosa accadrebbe se si proseguisse con il Progetto, se quelle bocce da pesce rosso venissero infrante, sprigionando tutta la loro potenzialità? Uragani. Nubifragi. Tempeste. Naufragi.

Rompere le barriere, facilitare la comunicazione, implementare la sincerità… Così aveva spiegato al Tecnico. Ma quale deflagrazione avrebbe potuto causare, quel pomeriggio, in quel luogo, la sincerità? Quante schegge si sarebbero conficcate nel cuore di quella madre? Non per questo aveva ideato il Progetto. 

Per anni aveva vissuto nell’isolamento del non sentire. Quando poi, grazie alla tecnologia, aveva potuto scoprire il fruscio di un vestito, il gorgoglio dell’acqua, il vocalizzo di un uccello, il trillo del telefono, il sussurro dell’amico che la raggiungeva alle spalle, fu un’estasi di meraviglia. Ma insieme all’incanto erano sopraggiunti i borbottii, le grida, gli stridii. La stonatura tra i volti che osservava e le parole che la raggiungevano. Tempeste di suoni, che la stancavano terribilmente. Sebbene si sforzasse, stare nella folla era per lei una sofferenza immane: vedeva bocche aprirsi e chiudersi, braccia gesticolare, corpi farsi flessuosi, ma non coglieva che un groviglio inestricabile di frasi smozzicate, di cui non dipanava il senso.  Imparò poi ad aggrapparsi ai saldi sguardi coloro che la amavano. Percorse nuove vie, le strade dell’impalpabile. E si accorse che, nonostante tutto, comprendeva.

Con gli anni però anche il suo mondo cominciò a svaporare: qualcuno se ne andò, qualcuno fu portato via, qualcun altro, pur continuando a guardarla, smise di vederla. Non basta dirsi parole, per capirsi. Eco ingannatrice, che rimbombi nelle stanze vuote di sguardi, dove tutti parlano, ma nessuno ascolta.

Così le era venuta quell’idea: togliere il superfluo, decodificare i flussi neurosensoriali per ritrasmetterli in forma di impulsi sonori, realizzando uno strumento che rendesse la sincerità udibile a chi davvero desiderasse ascoltare. Ma non aveva tenuto conto di semplice fatto: come armonizzare orecchie, bocca, cuore, sguardi, sincerità, delicatezza, passione, rabbia, delusione?

E mentre riflette, eccolo che arriva, il dolore che le pulsa nel corpo quando, incatenata dalle buone convenienze, dalla necessità del non dire, si sente comprimere, mentre le viscere urlano e urlano nel rimbombo di una grotta nota a lei sola. Quando infine si placa, prende la sua decisione. Ne rimarrà deluso, il Tecnico, ma gli basteranno cinque minuti di sperimentazione: capirà senz’altro. Il Progetto sarà chiuso.

Non si può violentare il silenzio, pietoso dono del cielo. Sarebbe come aprire un nuovo vaso di Pandora.

E nessuno - nessuno -  può permettersi tanta superbia.



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