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Codice Autore: 5a6a17d6997b3
Sezione: Adulti
Titolo: Si chiamava Felice





Non so se hai presente quel magnifico tepore dietro al vetro della finestra. Quello che si crea in inverno quando il sole filtra e riscalda gli indumenti che porti.

La giornata era di quelle fredde di fine gennaio e lui aveva appena pranzato, seduto al suo solito posto con le spalle alla porta della cucina.

Nonostante le tende la luce inclinata rendeva abbagliante il bianco della tovaglia e riscaldava il suo braccio destro e parte della gamba.

Gemma gli aveva cucinato un risotto e condito qualche foglia d’insalata. Si era poi tagliato mezza mela, lasciando la parte restante per la cena.

Il torpore del dopo pranzo era accresciuto dall’effetto del sole e neppure il giornale, appoggiato poco distante e non ancora letto, sembrava stimolare la sua attenzione.

Era abituato al silenzio e a convivere con i suoi pensieri.

Il tipico odore di cucina in quel momento sovrastava quello dell’arredo ormai datato; quello del legno e dei rivestimenti di una volta.

Il corpo leggermente ricurvo e la mano che ogni tanto accarezzava la tovaglia, togliendo le poche briciole. Gemma sarebbe tornata nel pomeriggio ma almeno nell’operazione di sparecchio gli piaceva essere ancora autonomo.

Il sole era leggermente calato e ora raggiungeva anche gli occhi, procurando un certo fastidio.

A quel punto s’impose di alzarsi, raccogliendo le poche cose che si trovavano sul tavolo. Bottiglia d’acqua, due piatti con posate, bicchiere e tovagliolo.

Meditò se tornare a sedersi per leggere il giornale oppure se incamminarsi verso la camera per il consueto riposo pomeridiano. Le mani si reggevano allo schienale della sedia, uno di quelli ricurvi di colore scuro, mentre guardava il giornale in attesa dell’ispirazione sul da farsi.

Il sole nel frattempo aveva abbandonato il tavolo e ora illuminava la vecchia radio sul mobile di fronte.

E così, dopo una veloce occhiata fuori dalla finestra del terzo piano, scostando le tende di tessuto bianco, decise d’incamminarsi verso la camera dando inizio a quel piccolo viaggio.

 

Dallo schienale della sedia le sue mani si spostarono sulla vecchia macchina da cucire, poco distante. Il pedale che muoveva la ruota non funzionava quasi più ma sua moglie non se n’era mai lamentata. Rivide per un momento proprio la figura di Giulietta, concentrata sullo scorrere del filo seguendo la traccia del tessuto. Una donna alta e amorevole con cui aveva condiviso gran parte della sua vita. Una donna salutata prematuramente ma impossibile da dimenticare. Rivide la sua simpatia e il suo garbo e con un sorriso appena accennato accarezzò il metallo sinuoso di quella Singer vecchio modello.

Con qualche passo stentato oltrepassò la porta della cucina trovandosi all’inizio del corridoio, con il telefono a muro sulla sinistra. Poco sotto, una rubrica vecchia almeno quanto il telefono e qualche foglietto ingiallito che spuntava dalle pagine. Il tutto appoggiato ad una robusta mensola di legno spesso. Di fianco alla rubrica, nella parte più vicina al muro, un sasso ruvido grande come due pugni chiusi. Sul sasso tre piccoli soldatini in ferro tentavano di guadagnarne la sommità, come alpinisti alla conquista della vetta. Uno dei pochi ricordi della grande guerra, del carso, delle sigarette fumate contro la malaria  e dell’Istria. Anche da combattente aveva potuto esercitare la professione di maestro elementare e nonostante la tragicità degli eventi di quegli anni i suoi ricordi non erano così drammatici.

Anche quella piccola scultura in marmo venne accarezzata dalla sua mano, mentre il vecchio telefono sembrava osservarlo muto. E muto per la verità rimaneva quasi sempre. Passavano giorni prima di sentirlo suonare, i suoi contatti erano davvero pochi.

Il pavimento del corridoio era tirato a specchio e lungo la parete era rimasta la lucidatrice. Probabilmente Gemma avrebbe completato il lavoro nel pomeriggio. Anche la lucidatrice era parecchio datata, forse una delle prime. I suoi figli l’avevano spesso utilizzata come strumento di gioco, cavalcandola in due come un purosangue da corsa e litigando sistematicamente per la posizione davanti. Sentiva quasi le voci di quei battibecchi mentre con la mano accarezzava il manico dell’elettrodomestico, ricoperto da una spessa guaina di gomma.

Gli venne ancora un dubbio sulla lettura del giornale ma le gambe avevano già fatto due passi oltre, raggiungendo un quadretto di medie dimensioni. La parete del corridoio era leggermente scrostata e la collocazione di quella cornice non casuale. Si ricordò di quel particolare e tentò di sollevare leggermente l’immagine appesa. La conferma della crepa non sarebbe stata necessaria visto che il corridoio non veniva imbiancato da molti anni. E anche per questo motivo la ricollocò al suo posto, senza neppure aver controllato.

La vecchia foto all’interno era quella di una classe di quarta elementare. Tutti serissimi, con i pantaloni corti, disposti con alternanza studiata su appositi gradoni. Sulla destra in basso il timbro in rilievo dello studio fotografico.

Guardò quei ragazzi e nella sua mente arrivarono anche i loro nomi. Rimase assorto per parecchio nel ricordo e si rammaricò per la sua collocazione infelice, in un luogo di passaggio, senza neppure un’illuminazione adeguata se non quella proveniente dalle due camere e dal bagno. Di tutti i personaggi ritratti lui era l’unico che sorrideva. Alzò la mano per raddrizzare leggermente la cornice e anche quella fu una specie di carezza.

Pochi passi ancora, ascoltando il leggero cigolio della porta socchiusa, spinta poco oltre per entrare in camera. Ora si trovava seduto sul letto matrimoniale. Davanti a sé una grande cassettiera con specchio e una teca in vetro spesso a forma di campana. All’interno la statuetta della Madonna, forse acquistata presso qualche santuario o regalata da qualche parente devoto. Una Madonna vestita di bianco, con una fascia azzurra in vita e due bande cadenti sulla lunga gonna. La Madonna con i pantaloni, così la chiamavano i suoi figli. Ricordò quella battuta e il suo indulgente lasciar correre. Si alzò lentamente dal letto, sfiorando con la mano la teca di vetro come una specie di carezza. Poi tornò seduto. Forse avrebbe dovuto aspettare ancora un po’ prima di coricarsi, visto che la digestione era da sempre uno dei suoi punti deboli. Tuttavia sollevò le gambe e rimanendo con le pantofole ai piedi si distese nel grande letto.

Negli occhi ancora molti ricordi: una macchina da cucire, un telefono a muro, un sasso della guerra, una lucidatrice, una fotografia e la Madonna con i pantaloni.

Sorrise cullandosi in questi pensieri, con le mani distese lungo il corpo, come per accarezzare il copriletto.

Il sole si era ulteriormente abbassato e filtrava dalla finestra abbracciando l’uomo disteso sul letto; l’uomo sembrava accogliere quel gesto di affetto. Non so se hai presente quel magnifico tepore dietro al vetro della finestra. Ed è così che Gemma lo trovò due ore dopo, Felice, alla fine del viaggio.



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